lunedì 19 aprile 2010

MEDICUS...un giorno saremo hakim, miei cari colleghi...

Buongiorno mondo.. dopo un po' di tempo eccoci qua..

In un altro post l'Eli vi spiegherà i motivi reconditi e nascosti per cui abbiamo taciuto per così tanto tempo. Il mio compito è quello di rendervi edotti circa un libro (infondo, ragazzi, per questo ci eravamo proposti) che ho letto recentemente e che, a quanto pare, molti altri in facoltà hanno letto.

Medicus di Noah Gordon.

Narra, per chi non lo conoscesse, la storia di Rob. J. Cole, un bambino della Londra dell'anno 1000 che, improvvisamente orfano, viene "adottato" (o forse sarebbe meglio dire acquistato) da un cerusico che decide di farne il suo assistente. Ora, c'è una cosa che rende Rob diverso dagli altri: il bambino ha la capacità innata e, in tutta verità, spaventosa, di percepire - come fosse una sensazione, un brivido - la presenza della vita negli altri. Si accorge per la prima volta di questo suo "potere", di questo suo dono - come anch'egli è solito chiamarlo per tutta la durata della sua vita - quando, la madre morente di parto, stringe le mani di lei e avverte l'essenza vitale della donna che lo aveva generato scivolare via.

Il bambino si spaventa, ha paura, non è pronto a sostenere un simile peso. Ma con l'andare del tempo e frequentando il cerusico Barber, Rob si rende conto che per lui, il dono, altro non è che l'indizio più evidente di quella che sovente chiama la "sua vocazione": cristiano cattolico di una fede acerba, incolta, abbandonata alla morte della madre e mai più nutrita - girovagare per tutta l'Inghilterra su un carrozzone rosso assieme ad un barbiere / chirurgo / giocoliere / prestigiatore / truffatore non è certo una condizione che possa consentire ad un animo infantile di crescere nelle comodità della fede e dell'istruzione, dopotutto - Rob a volte si rivolge a Dio, in cerca di aiuto o di risposte, ora per capire il perché delle sue capacità, ora per implorare di incontrare di nuovo i fratelli separati da lui al momento della morte del padre.

In un quadro politico movimentato, che ben evidenzia, per quanto sullo sfondo, una situazione di totale impotenza del giovane davanti alle brutture del suo tempo, Rob non perde la speranza di poter un giorno diventare un medico, un vero medico. E per farlo si dimostra disposto a tutto, perfino a viaggiare fino alla Persia, a Ispahan, sede della madrassa e "regno" del Principe dei Medici, Abu Ali at-Husain ibn Abdullah ibn Sina: quello che la Lippi ci ha più volte rammentato come Avicenna (potremmo stare ore a capire come e attraverso quali passaggi fonetici Ibn Sina diventi Avicenna, ma mi sa che ci perderemmo in un mare da cui poi sarebbe difficile uscire). E in Persia ci arriva, fingendosi ebreo, comprandosi il viaggio con le sue capacità, innamorandosi ed essendo pronto pure a rinunciare alla sua Mary pur di non perdere la sua unica occasione.

Tralasciando ora tutto il resto della trama (per chi non avesse letto il libro Wikipedia offre, al seguente indirizzo - http://it.wikipedia.org/wiki/Medicus_(libro) - un ottimo riassunto della trama) vorrei parlarvi di un punto molto toccante ed interessante della storia, ovvero del primo incontro di Rob col suo maestro.

Per noi che speriamo un giorno di essere medici questa pagina offre, pur non essendo un testo della "letteratura medica ortodossa" ed in tutta la sua semplicità, un eccellente spunto di riflessione. Al termine del suo quotidiano giro tra i pazienti, il vecchio e saggio Ibn Sina si avvicina al letto di un paziente molto malato che, diversamente da altri affetti da una patologia simile, non accennava segni di miglioramento nonostante gli venisse somministrata la corretta terapia. Ibn Sina, interrogati i suoi studenti, un po' come farebbe un moderno medico con i suoi specializzandi, Ibn Sina si rivolge direttamente al paziente. Ecco lo stralcio:

~ ~ ~ ~ ~

Ibn Sina indicò il paziente. «Parlateci di costui, Askari.»

«È Amahl Rahin, un cammelliere che si presentò in ospedale tre settimane fa accusando forti dolori alla parte bassa della schiena. Sulle prime pensammo che si fosse ferito alla spina dorsale mentre era ubriaco, ma presto il dolore si estese al testicolo destro e alla coscia destra.»

«E le urine?» Chiese il Maestro.

«Fino al terzo giorno erano limpide, di color giallo chiaro. La mattina del terzo giorno rilevammo tracce di sangue e quello stesso pomeriggio espulse sei calcoli urinari, quattro simili a granelli di sabbia e due delle dimensioni di piccoli piselli. Da allora non ha più avuto dolori e le urine sono tornate limpide, ma il paziente di rifiuta di ingerire cibo.»

Ibn Sina aggrottò le soptacciglia: «Cosa gli avete offerto?»

Lo studente sembrava sorpreso. «Il solito vitto. Pilah di diversi tipi, uova di gallina, carne di montone, cipolle, pane... non vuole toccare niente. L'intestino ha smesso di funzionare, il polso è più debole ed egli diventa sempre più fiacco.»

Ibn Sina annuì col capo e lo gaurdò. «Di cosa soffre, allora?»

Un altro dei praticanti si fece coraggio. «Penso, Maestro, che il suo intestino si sia contratto, bloccando il passaggio degli alimenti. Avvertendo tutto questo, il malato rifiuta il cibo.»

«Grazie, Fadil ibn Parviz» disse il Maestro con gentilezza. «Ma in tal caso il paziente mangerebbe, vomitando poi il cibo.»

Attese ancora, ma poiché non vi furono altre osservazioni, si avvicinò all'uomo sul giaciglio.

«Amahl» disse «sono Husayn, il dottore figlio di Abd-Ullah che era il figlio al-Hasan, figlio di Ali che era figlio di Sina. Questi sono miei amici e vorrebbero essere anche vostri. Da dove venite?»

«Dal villaggio di Shaini, Maestro» sussurrò l'uomo.

«Ah, un uomo di Fars! Ho trascorso dei bei giorni a Fars. I datteri delle oasi di Shinai sono grandi e dolci, non è vero?»

Lacrime spuntarono negli occhi di Amahl, che in silenzio annuì.

«Askari, adesso andate a pretendere datteri e una tazza di latte caldo per il nostro amico.»

Il cibo richiesto fu portato e dopo breve tempo medici e studenti osservarono l'uomo che iniziò a mangiare con voracità.

«Piano, Amahl. Piano, amico mio» lo ammonì con dolcezza Ibn Sina. «Askari, provvedete voi a cambiare la dieta del nostro amico.»

«Si, Maestro» assicurò l'ebreo andandosene.

«Bisogna tenere presente, quando si curano gli ammalati, che essi vengono a noi, ma non sono uguali a noi e spesso mangiano cose diverse dalle nostre. I leoni non gradiscono il fieno anche se vanno dalle mucche.»

Ibn Sina guardò severamente gli uomini raccolti intorno a lui. «Non li spaventiamo, signori. Spesso non riusciamo a salvarli, talvolta la nostra cura li uccide. Cerchiamo almeno di non farli morire di fame!»

Il Principe dei Medici si allontanò tenendo le mani dietro la schiena.

~ ~ ~ ~ ~

Ora, senza voler peccare di superbia, o di vanagloria, credo che questo debba essere una spinta ed uno spunto (giochetto di parole ignobile) per noi che vorremmo un giorno vantare il titolo di hakim, medici. Teniamo sempre presente cosa, anzi, CHI abbiamo di fronte, in modo da non dimenticarci mai che siamo persone, che siamo di carne e che abbiamo fatto la scelta coraggiosa - folle forse, ma per certo coraggiosa - di essere medici, di aiutare gli altri a guarire, a star meglio. E se un giorno avremmo a che fare con un problema troppo grande per noi, o che metterà a dura prova la nostra capacità di giudizio o di agire, basterà, forse, ricordare che davanti a noi c'è uno come noi che si fida di noi.

Spero di esservi stato d'aiuto. Spero che questo mio intervento enorme non vi abbia annoiato. E spero che tocchi in voi le stesse corde che ha toccato in me.

Andrea

3 commenti:

  1. E' stupendo...la Lippi sarebbe fiera di noi! La recensione è bellissima, tutti coloro che vogliono entrare davvero nell'idea di "fare il medico" dovrebbero leggere questo libro...non solo perchè è scorrevole e avvincente, ma perchè tocca al cuore chiunque creda davvero che un giorno, malgrado le difficoltà dello studio e del lungo percorso che ha davanti, riuscirà a prendere le mani di un'altra persona e a sentirne la vita, i desideri e le speranze...e saprà che può fare davvero qualcosa per quella persona...
    Un insegnamento per tutti!

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  2. Bello ragazzi!mi avete fatto venire voglia di leggerlo!!
    Andre ti dico solo una cosa "E se un giorno avremmo a che fare con un problema troppo grande per noi, o che metterà a dura prova la nostra capacità di giudizio o di agire, basterà, forse, ricordare che davanti a noi c'è uno come noi che si fida di noi", esatto..quel giorno ci sarò io davanti a te..o meglio noi 2..
    Bello veramente..sappiamo tutti e tre a cosa mi riferisco..
    Hai centrato in pieno un discorso che forse molti dimenticano ovvero il ricordarsi sempre che di fronte a noi abbiamo PERSONE con sentimenti, animo, speranza e bisogno di aiuto. Grazie davvero!

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  3. uffa nn vale io avevo già scritto il commento ma non so perchè nn me l'ha pubblicato(probabilmente mia incapacità)
    comunque(come avevo scritto) complimenti a entrambi per le parole...avete toccato anche in me quelle corde...

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